Anton Van Dyck. Riflessi italiani (mostra)

Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, Milano

19 febbraio - 4 luglio 2004


Le parole di Luca Ronconi


Come sarà il Van Dyck secondo Ronconi?
Sarà il protagonista di un viaggio fantastico. Con la scenografa Margherita Palli abbiamo pensato più a figure vive che a quadri. Figure che, nella sala delle Cariatidi, diventeranno protagoniste di un corteo fatto di dame, di cavalieri, di nobiluomini, di cardinali. Immaginati come se fossero in marcia verso una sacra meta: quella delle Madonne, dei Crocefissi, dei Compianti dipinti dallo stesso Van Dyck.
Quasi una visitazione o una processione...
In qualche modo, direi di sì. Ma la nostra è stata prima di tutto una scelta tecnica: la maggior parte dei quadri che andranno in mostra è fatta da ritratti che abbiamo chiuso in stipiti, come se fossero stati uomini e donne sulla soglia di grande dimore, in procinto di partire come per un pellegrinaggio. Che avrà come destinazione quegli altari che accoglieranno invece i quadri di soggetto sacro, che sono in numero molto minore.
Che cosa l' ha colpita di più nell'opera di Van Dyck?
La sua teatralità. Devo ammettere che mi piacciono più i ritratti che i soggetti sacri. E dei ritratti mi intrigano i volti e gli sguardi perché sono curioso di capire chi fosse realmente la persona ritratta. Ma mi hanno colpito anche i dettagli di questi ritratti: dai tessuti degli abiti ai particolari dello sfondo alla luce. Ad esempio, l' armatura dell'Emanuele Filiberto di Savoia, la gorgiera del giovane patrizio, l'ombrellino rosso della marchesa Elena Grimaldi. Per me in Anton Van Dyck c'è un grande realismo dietro cui si nascondono altre storie, storie mondane o storie sacre.
Come accade a teatro...
C'è anche dell'altro. Mi è piaciuta l'antipatia di Van Dyck per la simmetria: un elemento che detesto e che non ritrovo assolutamente nella sua opera. I suoi personaggi non sono mai al centro della tela, sono sempre come spostati verso un punto d' interesse differente, magari verso un particolare: un volto, una spada, la mano di un putto, la piuma di un elmo. Un procedimento, quello di evitare la simmetria e di concentrarsi sui particolari, che seguo nei miei spettacoli.
Questo è il suo primo allestimento di una mostra. Perché?
Perché nessuno me lo aveva chiesto prima d' ora. Francamente, non sapevo da che parte cominciare. Per me è stata una sfida: ma io amo confrontarmi, lo faccio anche in scena, con quello che non conosco. Troppo facile mettere in scena il "solito" Giulio Cesare di Shakespeare. Mi piace sperimentare. Ma, visto il progetto, mi sembra che i risultati siano stati buoni. Nonostante lo spazio delle Cariatidi non sia l' ideale: dispersivo ma anche incombente.
Si parla sempre più spesso della necessità di studiare percorsi espositivi adeguati...
Gli allestimenti sono necessari in quanto forniscono criteri di lettura, altrimenti le opere potrebbero correre il rischio di "perdersi". Io però ho cercato di lasciare allo spettatore la libertà di associazione, la possibilità di scegliere il quadro da vedere o la sequenza da seguire. Non ho voluto imporre niente. Ho, insomma, voluto lasciare in qualche modo al visitatore la possibilità di giudicare da solo.
Qual è il rapporto di Luca Ronconi con l'arte?
L' arte mi intimidisce. Come mi intimidisce, la musica. E come mi intimidirebbe l'idea di allestire una mostra su Caravaggio: troppo grande.
C'è un' artista, un periodo, un movimento che sente particolarmente vicino?
Le mie preferenze non sono legate tanto a un giudizio estetico. Piuttosto alle mie memorie di bambino. E in queste memorie c' è posto per le immagini di un brutto calendario ma anche per il Narciso di Caravaggio o per la Danae del Correggio, quadri che ho visto nella mia infanzia a Roma. Nelle mie memorie c' è così spazio per la prima mostra, vista da bambino: quella dedicata ai pittori veneti, a Palazzo Venezia. Ma anche per l' ultima, quella sulla metafisica alle Scuderie del Quirinale. Storia di pochi giorni fa.
Intervista di Stefano Bucci