Conversazione con Peter Stein sull'Orestea

Milano, Civica Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi

7 febbraio 1981

Peter Stein: «Riandando a un paragone (di fatto impossibile) con l'Orestea rappresentata da Luca Ronconi nel '72, mi si chiede come mai in entrambe le nostre edizioni l'Agamennone corrisponda al momento di più folgorante teatralità e le Coefore corrispondano a un abbassamento di livello o forse, almeno nelle parti corali, a una caduta di pathos; poi sorprendentemente Le Eumenidi, dramma che sulla carta è facile giudicare verboso e legato a una tesi propagandistica del tempo, per entrambi darebbero luogo a una lettura ironica e al ritrovamento di una poco prevedibile immediatezza teatrale. 

Evidentemente non mi è possibile aderire al giudizio di merito, perché mi mancano sia i termini di confronto che il necessario distacco. Posso però dire che il testo migliore dell'Orestea, nel senso teatrale contemporaneo è senza dubbio l'Agamennone. Le Eumenidi ci sono evidentemente avvicinate dal fatto che un procedimento giudiziario per decidere se assolvere o meno un omicida è un evento che ci è molto familiare. Per esempio, la discussione se si debba introdurre il principio dell' "one man vote" come dato regolativo al posto del principio dell'"occhio per occhio", mi pare che anche in Italia, oggi, sia piuttosto attuale; mi riferisco anche al dibattito sull'introduzione o meno della pena di morte. Insomma, io vedo delle affinità molto forti con l'epoca contemporanea. Anche nelle Coefore, dove un individuo cerca di riprendersi il potere politico che gli era stato tolto, di vincere un usurpatore, di scacciarlo di casa, insomma. Come farlo? Con quali mezzi? Mi sembra una cosa assolutamente vicina ai nostri problemi. Tra l'altro le tre parti che compongono la trilogia non sono affatto prive di collegamenti interni, al contrario: il mio lavoro mi ha portato, anzi ha portato tutti noi a renderci conto che questo testo è costruito come una cattedrale, con grande precisione, calcolato fin nei minimi dettagli, fino all'ultimo verso. Il risultato è lo stesso stupore che si prova di fronte a un bronzo di tarda epoca arcaica, dove c'è già tutto, l'anatomia, le proporzioni, il naturalismo che ci aspettiamo da un'opera d'arte classica, tutto quanto. Eppure ci accorgiamo che non è un'opera classica, no, è arcaica, ignota, si oppone al contatto immediato, è come circondata da un muro. Luca Ronconi per esempio ha usato una traduzione, quella di Mario Untersteiner, una traduzione in prosa che è il risultato di un lavoro scientifico di interpretazione. È una specie di commento al testo, un commento alle diverse possibilità di interpretazione. Stupendo. Per la disponibilità di un simile strumento l'ho invidiato. Una traduzione del genere in Germania non l'abbiamo, e per noi è stata una tragedia, non greca stavolta, ma tedesca».