Sembra che per caso o per scelta Luca Ronconi preferisca il Verdi più macchinoso...
Beh, chissà, ora che ci penso, sì, forse. Ma poi quali sarebbero le opere non macchinose? Tolti i casi estremi di Rigoletto, e Traviata, la stessa concentrazione a cui è sottoposta, drammaturgicamente, l'idea di uno Schiller o di un Hugo crea una certa artificialità. Qui poi abbiamo addirittura Scribe.
E questa artificialità piace a Ronconi?
Certo che mi piace. Ho sempre sostenuto che il teatro è una macchina. "I Vespri" sono il primo vero e proprio "grand opèra" verdiano. una teatralità fastosa che si aggiunge a quella del melodramma. In realtà mi sembrano piuttosto un'opera ripetitiva. Sono cinque atti che ripetono un unico schema drammaturgico. I personaggi sono manichini. Nel nostro spettacolo mancano i balletti. Non è una mia scelta, ma è stata una necessità del teatro. Così però, è venuto a mancare un ingrediente importante del "grand opèra". E a quest'opera che ha due passaporti, uno italiano e uno francese, che rappresentata in Francia fa fare bella figura ai francesi, rappresentata in Italia sembra patriottica, finisce per mancare, senza balletto, proprio il suo carattere, senza balletto, proprio del suo carattere francese. Resta alquanto sbilanciata la prevalenza dei cori. Vengono però al pettine i nodi dell'azione". "I Vespri" vennero scritti per Parigi. Ma la cacciata dei francesi da Palermo è un curioso soggetto per Parigi. Un soggetto retorico. In fondo i personaggi simpatici, i "buoni", sono quelli francesi o che per successive agnizioni passano dalla parte dei francesi. Gli italiani sono dei guastafeste, fino alla fine. E anche dei guastafeste sleali. Il patriottismo di quest'opera è perciò una convenzione retorica.
E se in Verdi lo fosse sempre?
Chissà: forse sì. Certo l'aspetto meno riuscito del suo teatro. Gli riesce solo quando può risultare ambiguo. O meglio, quando i personaggi sono complessi e non giocano solo i temi di una narrativa popolare, come qui, ma entrano in ballo i grandi temi e i grandi giochi di Schiller, di Shakespeare. O di Hugo. Allora i conflitti sono tragici. Qui sono artificiali: amor di figlio, amor di patria; amor di patria, amor di figlio; amor d'amante, amor di patria, e così via. Non abbiamo personaggi o situazioni, ma cliché di personaggi e situazioni.
E questi cliché facilitano o no la regia?
Io non penso che esista un modo di fare la regia d'opera, come non penso che esista un modo di fare teatro. Ogni autore, ogni opera, musicale o no, presenta problemi particolari. Così non esistono personaggi assoluti, un personaggio di Mozart è un'altra cosa da un personaggio di Wagner, anzi i personaggi sono funzioni drammaturgiche, non individui psicologici. Poi, nel teatro d'opera, una cosa è una drammaturgia che passa attraverso la voce, come quella di Verdi, e un'altra quella che passa attraverso il comportamento scenico, Wagner o Debussy: ma lo stesso problema posso trovarlo anche nel teatro di prosa, che so, tra mettere in scena Ibsen o Pirandello. Voglio dire che non si può e non si deve chiedere a un cantante di agire come un attore: semplicemente perchè non lo è. E allora io devo sapere di usare un cantante e non un attore. I Masnadieri di Verdi non sono quelli di Schiller, e non vanno messi in scena come se fossero quelli di Schiller. Il tenore è tenore e il baritono è baritono: hanno una funzione drammatica proprio perchè tenore e baritono, non perchè questo o quel personaggio.
E allora, come saranno questi "Vespri"?
Prima di tutto si è pensato di calare tutto in un colore, in una luce mediterranea. E che cosa c'è di più mediterraneo di certa vegetazione? Così ogni atto ha una sua vegetazione: ci sono gli aranci, le ginestre, le palme, gli ulivi. Ogni atto prevede poi dei sipari di gusto ottocentesco, di un Ottocento che rievoca il Medioevo. Le situazioni appaiono di volta in volta tradotte in immagini precise. Penso che il pubblico si divertirà a riconoscerle.