Il crepuscolo degli dei

Musica:   Richard Wagner

Personaggi - Interpreti:
Siegfred - Jean Cox
Alberich - Klaus Kirchner
Brunnhilde - Ezster Kovacs
Gutrune - Agnes Habereder
Waltraute - Doris Soffel
Prima Norna - Patricia Payne
Seconda Norna - Gisela Neuner Chionsini
Wellgunde - Agnes Habereder
Flosshilde - Benedetta Pecchioli


Maestro direttore e concertatore:   Zubin Metha
Maestro del coro:   Roberto Gabbiani

Scene e costumi:   Pierluigi Pizzi


Allestimento:   Maggio Musicale Fiorentino


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Firenze
10 giugno 1981

Foto / Bozzetti / Video


Rassegna Stampa

“Ciclo immenso, il Ring wagneriano nella versione di Luca Ronconi e Pier Luigi Pizzi (incantò e accese polemiche furibonde alla sua prima apparizione con la Valchiria scaligera, sette anni fa), è giunto finalmente all’approdo trionfale e fatale dell’ultima giornata, al Crepuscolo degli dèi, che (...) Zubin Metha ha diretto con energia incisiva e con bellissima carica espressiva di canto”.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
12 giugno 1981
“Sono felice di quest’ultima fatica, che mi pare coerente con la Valchiria e con L’oro del Reno. Mantenersi fedele con quello che è passato nella storia culturale e nella mia vicenda intellettuale in questi sette anni non è impresa da poco. Sono sette anni di lavoro. Se questa fosse la prima, invece che l’ultima opera, probabilmente la farei diversa. Ma il Crepuscolo mi ha appassionato ed emozionato per il rapporto fondamentale al quale obbliga con tutta la cultura romantica”.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
12 giugno 1981
“Qualunque cosa si possa pensare dei risultati ottenuti, siamo di fronte a un evento teatrale di sommo interesse, non inferiore agli esperimenti che a Bayreuth si vengono facendo dacché i nipoti di Wagner hanno raccolto la direzione del festival dalle mani conservatrici dei loro avi”.
Massimo Mila
«La Stampa»
12 giugno 1981
“Io credo che si sia avverato uno dei pochi avvenimenti importanti del teatro musicale degli ultimi anni. Abbiamo visto sovrapporre alla semplicità ufficiale del mondo leggendario wagneriano ciò che Wagner può significare per noi: in immagini ardite di spazi (in un anello continuamente spezzato che tende a ricomporsi), di colori (con un progressivo abbandono dei toni di luce per arrivare alla malinconia grigia di questo ‘crepuscolo’), con costumi e oggetti d’epoche sovrapposte, a suggerire la nostra memoria storica. Non è stato un discorso per tutti: qualcuno lo trova odioso, disturbante. Malgrado il successo ormai totale, non è un linguaggio a tutti congeniale. Io ho imparato molte cose, che mi hanno aiutato a capire anche gli intrecci musicali. In ogni caso è stata una ricerca interiore. Lo si è visto in quest’ultima ‘giornata’: più gli spazi si incastravano e moltiplicavano illusioni, più la solitudine dei personaggi, la loro integra e disarmata psicologia risaltavano come nudo mito, confidato solennemente da anima ad anima”.
Lorenzo Arruga
«Il Giorno»
12 giugno 1981
“La lettura ronconiana diviene un’interpretazione amorosissima della musica di Wagner. La storia di Sigfrido è di un’essenzialità romanticissima, che il regista sfrutta con una ricchezza di sfumature, che mutano in meravigliosa verità scenica i suggerimenti nascosti dentro la partitura. Sigfrido è appunto all’inizio colmo di tutta la grazia emotiva e dei doni che Brunilde gli ha trasmesso attraverso l’amore. Poi la sua spiritualità decade, egli cade nella trappola dei Ghibicunghi e perde la memoria, per ritrovare alla fine la propria identità sentimentale. Questa lacerazione fra le due verità, il tema dell’oblio e della memoria ritrovata, è una storia fragilissima proposta da Ronconi con una sottilità di segni che svelano i labirinti della cultura romantica”.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
cit.
“Certo, qualche caduta e qualche forzatura si è ravvisata anche in quest’ultima giornata della sagra nibelungica, ma la visione generale di tutta l’opera è apparsa godibilissima con momenti di grande bellezza visiva nei quali la genialità di Ronconi, che resta sempre un autentico uomo di teatro, si è manifestata in tutta la sua evidenza. Che poi la sua idea del Ring possa essere messa in discussione è un altro discorso; come un altro discorso è quello dell’‘autenticità’ della realizzazione come la concepiva Wagner quando stendeva le didascalie dei testi. In ogni caso bisogna dare atto a Ronconi di aver battuto, nonostante le polemiche e gli anatemi scagliati contro di lui fin dalla messa in scena dell’Oro del Reno, una strada che ha seguito coerentemente fino in fondo, dimostrando (...) di avere un’idea generale unitaria e conseguentemente logica della smisurata opera wagneriana”.
Laura Fiorentini
«La Città»
12 giugno 1981
“Mentre assistevamo al Crepuscolo degli dei ci è caduto lo sguardo sulle foto delle scene e dei costumi dell’edizione bayreuthiana del 1876, pubblicate dal Comunale nel programma di sala. Erano raffigurati i personaggi mitici e apocalittici dei Ghibicunghi e delle Valli scoscese solcate dal Reno; gli immani spazi sovrastati dal Walhalla prossimo alla rovina. E i guerrieri erano guerrieri; e Sigfrido, Gunther e Alberich e Hagen emanavano quella terribile violenza primitiva, quella possanza che saliva dall’imminente catastrofe cosmica e che ribolle nella musica con straordinaria forza evocatrice. Poi abbiamo sollevato lo sguardo da queste foto al palcoscenico e abbiamo rivisto, ahinoi!, Gunther e Hagen trasformati in ufficiali prussiani, quasi azzimati, ben lustri, con spalline e decorazioni in abbondanza”.
Enrico Cavallotti
«Il Tempo»
12 giugno 1981
“‘Il mito, dov’è il mito?’ si sentiva mormorare lamentosamente davanti al banco dove panini d’ogni sorta aiutavano a superare le cinque ore e passa dello spettacolo. Sarebbe facile rispondere che, in tempi come i nostri, quando generali e ministri della P2 rinunciano a indossare in pubblico i grembiulini massonici, anche i Nibelunghi possono mettersi in borghese. Ma il guaio è che Ronconi li mette in divisa i suoi ‘potenti’: tutti neri e oro come i militari e i banchieri che, quando Wagner scriveva le ultime battute del Crepuscolo, portavano la Prussia alla conquista dell’Europa. Wagner, che aveva visto le truppe di Federico Guglielmo entrare a Dresda per schiacciare il risorgimento tedesco, non aveva dubbi in argomento. Le quattro giornate dell’Anello del Nibelungo sono la storia della maledizione dell’oro che porta sventure e morte ai possessori. (...) Ronconi non solo conosce benissimo l’intreccio estetico e politico, ma, assieme a Pizzi, ce lo restituisce alla perfezione annodando, nel suo spettacolo, il doppio filo della leggenda e dell’attualità. Il mito lamentosamente invocato non è per nulla assente. Al contrario è qui in primo piano: esso trionfa nelle grandiose prospettive sceniche di questo Crepuscolo in cui i temi spettacolari dell’Oro del Reno, della Valchiria, del Sigfrido vengono ripresi e rinnovati”.
Rubens Tedeschi
«L'Unità»
12 giugno 1981
“Ci corre l’obbligo di manifestare il nostro totale dissenso dalla ‘lettura’ wagneriana di Ronconi, per aver egli condotto l’Anello nelle ambiguità e negli equivoci scenici di un Ottocento piuttosto riduttivo e provincialistico, per aver sottratto il gigantesco monumento wagneriano alla propria sacralità originaria, onde immergerlo nelle nebbie di una rivisitazione contingente e soggettiva, che nulla ha aggiunto al testo e anzi molto gli ha sottratto”.
Enrico Cavallotti
«Il Tempo»
cit.
“È naturale che una simile visione spiaccia ai conservatori: se non altro perché toglie Wagner dal museo per restituirgli la carica polemica, l’attualità di promotore della crisi, tuttora irrisolta, dell’arte moderna. Spiace perché disturba, perché cancella i luoghi comuni, perché (...) rende evidente il confine tra l’intelligenza e il conformismo, che, in tutti i tempi, è il suo confortante contrario”.
Rubens Tedeschi
«L’Unità»
cit.