La Valchiria

Musica:   Richard Wagner

Personaggi - Interpreti:
Hunding - Bengt Rundgren
Sieglinde - Marita Napier
Brunnhilde - Gwyneth Jones
Fricka - Carol Wyatt
Gerhilde - Isabel Gentile
Ortlinde - Gisella Chionsini
Waltraute - Christel Borchers
Schwertleite - Elisabeth Burnett
Helmwige - Agnes Habereder
Seigrune - Fulvia Ciano
Rossweisse - Benedetta Pecchioli

Maestro direttore e concertatore:   Zubin Metha

Scene e costumi:   Pierluigi Pizzi


Allestimento:   Maggio Musicale Fiorentino


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Firenze
20 febbraio 1980

Foto / Bozzetti / Video


Rassegna Stampa

Mentre L’oro del Reno l’anno scorso era stato inventato di sana pianta, questa Valchiria è sostanzialmente la ripresa di quella andata in scena alla Scala nel ’74. (...) Qualche piccola differenza comunque c’è, e in ogni caso non ha torto il regista ad affermare che l’elemento ‘scandaloso’ di quella rappresentazione, per la prima volta privata di tutta l’archeologia nibelungica, si è ormai molto ridotto.
Massimo Mila
«La Stampa»
22 febbraio 1980
Come già nell’Oro del Reno fiorentino, Ronconi ha messo più ordine e meno oggetti misteriosi nel suo Wagner. Rispetto alla Scala, la Valchiria appare ripulita: si fa seguire, pur rimanendo trasposta in luoghi chiusi ottocenteschi.
Alfredo Mandelli
«Oggi»
7 marzo 1980
Questa Valchiria è la civiltà tedesca del tempo di Wagner che si specchia: gli eroi si umanizzano e declinano nella sconfitta: il loro ambiente di alta tragedia si fa silenzio attonito e aura di mestissimo compianto. Non è più necessario dunque al regista, scelta questa prospettiva e questa chiave di lettura, serbare la convenzione teatrale, ad esempio, della cavalcata delle Valchirie: esse staranno ferme, come statue, larve trionfanti della decadenza, sullo sfondo di bronzei monumenti equestri violentemente inespressivi e vuoti di pathos.
Enrico Cavallotti
«Il Tempo»
22 febbraio 1980
Spogliata l’azione di ogni pretesa eroica e depauperata del grande respiro paesaggistico che coinvolge la natura nella vicenda di dèi, uomini, eroi, giganti e nani, la regia di Ronconi muove i personaggi dentro le nobili, severe scene di Pier Luigi Pizzi con molta aderenza alle esigenze narrative e con uno sfruttamento dello spazio scenico quale ci si può attendere da un mago del teatro come lui. All’interpretazione decisamente intimistica e antiretorica impostata dalla regia si adegua in piena concordia d’intenti la direzione musicale di Zubin Metha.
Massimo Mila
«La Stampa»
cit.
Nel prologo celeste e sotterraneo dell’Oro del Reno Luca Ronconi vedeva al lavoro le forze della natura: le ondine custodi del mitico oro che dà al possessore il dominio sul mondo. I Nibelunghi che lo conquistano e lo forgiano, gli dèi capeggiati da Wotan che se ne impadroniscono e lo perdono a loro volta, allargando al mondo la maledizione del potere. Lo stupendo ponte-anello lanciato da Ronconi e Pizzi come un arcobaleno simboleggiava in modo incomparabile lo scontro tra cielo e terra. Con la Valchiria la vicenda prosegue e cambia. Qui dominano gli umani cui Wotan ha affidato il compito di riconquistare l’oro: compito che essi possono realizzare soltanto in piena libertà, sottraendosi alla volontà del dio.
Rubens Tedeschi
«L’Unità»
22 febbraio 1980
Ronconi fa scendere la Valchiria da un mitico etere in una dimensione immanentistica, di densa e sublimata cifra borghese: la tensione del regista è volta a immergere il dramma in un contesto di sofferta e infranta ‘mondanità’, ove la simbologia wagneriana si scarnifica e pulsa in pochi e aspri oggetti, simboli non più di quel cosmo mitologico, bensì della mitologica e visionaria ‘utopia’ dell’autore.
Enrico Cavallotti
«Il Tempo»
cit.
La rottura delle sacre leggi – tema filosofico dell’opera – si trasforma così in un contrasto di passioni che travolgono i personaggi: Sigmund e Sieglinde in preda all’amore incestuoso, Brunilde e lo stesso Wotan che, investiti dalla violenza dei sentimenti umani, si spogliano degli attributi sovrumani. Ronconi ha quindi un’ottima ragione per privilegiare i temi dell’intimità. Al posto della costruzione aperta dell’anello-ponte appaiono le stanze in cui il quartetto amante combatte la battaglia del cuore. E queste stanze sono, in realtà, quelle della dimora dello stesso Wagner dove il musicista si identifica con i suoi personaggi. Questa è la seconda buona ragione di Ronconi: l’esaltazione del carattere autobiografico del ciclo nibelungico. Wagner, secondo una teoria ben nota, proietta se stesso nelle proprie creature: Wotan, il Padre-Dio, Sigmund, l’amoroso eroe, la stessa valchiria che realizza, trasgredendo, la volontà divina: lo scontro drammatico, a ben vedere, ripete sublimato quello di Wagner con se stesso e con le donne della propria vita: Matilde, Cosima, la moglie, l’amante ideale, la custode della casa e via dicendo.
Rubens Tedeschi
«L'’Unità»
cit.