Lohengrin

Musica:   Richard Wagner

Personaggi - Interpreti:
Heinrich der Vogler - Kurt Rydl
Lohengrin - Roland Wagenfuhrer
Elsa von Brabant - Emily Magee
Friedrich Terlamund - Hartmut Welker
Ortrud - Luana De Vol
Heerufer Eike - Wilm Schulte

Maestro direttore e concertatore:   Julia Jones

Scene:   Margherita Palli
Costumi:   Vera Marzot
Luci:   Guido Levi


Allestimento:   Maggio Musicale Fiorentino


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Firenze
02 novembre 1999

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi

Un Romanticismo non oleografico


Dopo Der Fliegende Hollander e Tannhäuser, Lohengrin conclude la cosiddetta trilogia romantica wagneriana. Siamo nel 1848, anno cruciale per l'Europa e per Wagner, che proprio in quel periodo comincia a stendere la Tetralogia…
Certo lo spessore che ha il testo teatrale della Tetralogia è maggiore, il modo in cui gli elementi leggendari sono coniugati con gli spunti filosofici nel Ring è più approfondito e meglio riuscito; nel Lohengrin Wagner è ancora un drammaturgo nel solco della tradizione. Per esempio: nella Tetralogia non esiste il tema storico, mentre qui è un elemento importante di gusto tipicamente romantico, ma storia e leggenda faticano in qualche modo a trovare un rapporto coerente. Così, nel momento di mettere in scena Lohengrin, il dover conciliare un fatto storico, la vittoria di Re Enrico l'Uccellatore sugli Ungari, con un evento soprannaturale e un personaggio come Lohengrin risulta quasi "sbalzante". Cosa emerge infatti dal testo? Che un popolo, che deve correre a battaglia, elegge come suo paladino e suo vessillo un eroe di ascendenza divina; questo eroe, poi, si dilegua: la guerra si fa lo stesso senza quella protezione e quell'avallo divini, una guerra come tutte le altre, senza purissimi eroi dalla bianca armatura. Certo, questo elemento "storico" non è la linea fondamentale dell'opera, però esso denota quello spirito nazionalistico, quel germanesimo, che sono ben presenti nel Lohengrin, mentre nella Tetralogia la celebrazione del germanesimo è riassorbita in termini filosofici. Forse il Ring è ancora più "tedesco" di Lohengrin, ma là è la filosofia, la cultura germanica che viene magnificata, mentre qui è ancora la storia tedesca.
Quale Lohengrin, dunque, vedremo?
Abbiamo detto che è un'opera romantica e dunque la domanda da porsi è che tipo di romanticismo proponiamo. Ovviamente è impensabile oggi proporne una visione oleografica; dobbiamo ricercare che cos'è che rende "romantica" quest'opera. Per esempio, il tema del sogno, così fondamentale per Elsa, o il tema del divieto d'amore, così tipico in Wagner. Così punteremo su questi temi. Un romanticismo, dunque, più di concetti che di immagini. Infatti una connotazione medievaleggiante mi sarebbe parsa ispirata a uno spirito nostalgico nei confronti di un modo di fare teatro di cinquanta o cento anni fa: e nel Lohengrin non c'è niente di nostalgico. Il rischio sarebbe stato quello di fare un Lohengrin "d'epoca", più che romantico. Quindi abbiamo scelto una figuratività contemporanea, o meglio fra atemporale e contemporanea: ciò che ci premeva sottolineare era l'estraneità del personaggio di Lohengrin rispetto all'evento storico. Pertanto l'eroe sarà vestito secondo l'iconografia tradizionale: e per "leggere" quell'estraneità era necessario che gli altri avessero abiti più simili ai nostri, per marcare meglio lo stacco fra il protagonista leggendario e altre figure, fra il mondo fantastico e quello reale.
E questo vale anche per Elsa?
No, vale soprattutto per Lohengrin contrapposto al mondo brabantino. Elsa viene presentata in uno spazio suo, chiuso, isolato da tutto il resto, che in qualche modo raffigura l'isolamento del suo sogno: una visione che prosciuga gli orpelli esteriori per riassumere la simbologia romantica dell'opera in pochi elementi essenziali. Niente paura, comunque, il cigno ci sarà, e ci sarà la trasformazione del cigno in Goffredo… E del resto l'alterità di Lohengrin rispetto al mondo che lo circonda è anche ciò che giustifica la strana calamita amorosa che lega Elsa all'eroe.
Veniamo al tema del divieto d'amore...
Questo è forse l'elemento più profondo dell'opera che mi sembra non nascondere quel vago filisteismo che percorre poi tutta l'opera di Wagner. È stato detto che quel divieto d'amore simboleggi in qualche modo un rapporto coniugale borghese: non si deve sapere... non si deve guardare l'amore in faccia. È un tema che ha, come è noto, infinite ascendenze mitologiche, basta pensare ad Amore e Psiche. A questo divieto si oppone un personaggio così umano come quello di Elsa. Per quanto nella sua decisione di domandare il nome dell'amato sia subordinata da Ortrud, Elsa mostra di voler veramente e fino in fondo guardare l'amore in faccia. Non è spinta da curiosità, ma dalla necessità di sapere: e questa è una grande innovazione nel mito. Il voler sapere se ci possa essere un "vero" amore senza sospetti e senza infingimenti è un momento stupendo musicalmente e drammaticamente.
E gli altri personaggi?
Se c'è un personaggio tragico in senso classico nel Lohengrin è Friedrich von Telramund, che è portato inconsapevolmente e in buona fede alla rovina, tradito dal legame di natura demoniaca che lo stringe a Ortrud. Ortrud è il personaggio in cui rivive l'eco degli antichi dei germanici e verso cui l'autore inclina con maggiore passionalità. Il gusto di Wagner sembra andare infatti verso Elsa e Lohengrin, le sue viscere verso Ortrud: quella Ortrud che ha le radici germaniche più profonde, che invoca le divinità ancestrali della stirpe. Lohengrin canta pagine bellissime, ma la sua figura rimane abbastanza nebulosa, forse necessariamente per creare mistero sul suo nome, ma la rivelazione della sua genealogia non serve a diradare la nebbia: e noi continuiamo a chiederci chi sia.
Che cosa vedranno, dunque, gli spettatori di questo Lohengrin?
Uno spettacolo piuttosto asciutto, dove nello spazio vuoto del palcoscenico si creeranno altri spazi interni che si modificano a seconda delle necessità. Tutto sarà appena indicativo: il fiume, ad esempio, sarà segnato da una passerella di metallo che brilla appena. Quindi una visione da cui viene "sottratto" tutto ciò che non è necessariamente indispensabile. Il primo atto presenterà una atmosfera biancoazzurrina, nebbiosa, per rendere il carattere del sogno di Elsa; il secondo atto sarà completamente nero; il terzo si svolge nella camera nuziale, una sorta di scatola completamente vuota.
E i presunti significati politici del finale?
Se c'è un significato profondo nel finale del Lohengrin mi pare questo: che il protagonista non è più l'eroe guerriero invocato dal popolo, che ad Anversa tutto ritorna a una dimensione umana e i brabantini vanno a combattere la loro guerra senza aiuti divini sancendo così l'impossibilità del divino di mescolarsi con l'umano. Ma forse questa è una nostra interpretazione, più che l'intenzione di Wagner. Ed è inevitabile che noi oggi la rappresentiamo dal punto di vista dell'umano e non da quello del divino.
Intervista di Franco Manfriani dal programma di sala

Io, lady sul podio contro i pregiudizi


Ho scelto un Lohengrin contemporaneo, non d'epoca e oleografico, in uno spazio vuoto e astratto, con altri spazi interni che simboleggiano l'isolamento di Elsa. E ho sottolineato l' aspetto sovrannaturale senza trucchi scenici baroccheggianti, ma ho lasciato l' arrivo di Lohengrin sulla navicella dorata trainata dal cigno. Tutti sono in doppiopetto grigio, salvo Lohengrin in cottamaglia argentea e mantello azzurro
Intervista di Laura Dubini
«Corriere della Sera»
3 novembre 1999

Rassegna Stampa

Lohengrin: trionfa la Jones

Per Luca Ronconi, che firma l'allestimento assieme alle sue essenziali collaboratrici alle scene e ai costumi Margherita Palli e Vera Marzot, «romantico» significa estraneo, non contaminato dalle pulsioni massificate. Questa linea interpretativa emerge con chiarezza già alla fine del secondo atto, mentre si scrivono le prime impressioni. Solo Elsa e lui, il cavaliere gentile, indossano abiti di qualche ascendenza medioevale, gli altri […] sono in nero-orbace, appartengono forse alla famiglia dei Krupp, mentre le settanta comparse maschili del coro sono tutte passate dal barbiere a farsi biondi: Junge Deutschland, massa pronta a qualsiasi avventura, bisognosa di leader. Nella scena spoglia, lo spazio riempito dai consueti stilemi ronconiani: ponti e pareti mobili sopra i quali i personaggi raddoppiano la loro fissità. […] Realissime sono le proiezioni che evidenziano – in stile da graffito metropolitano – alcune frasi del libretto. La storia, perfino la cronaca, e il mito tentano così una difficile, didascalica convivenza.
Sandro Cappelletto
«La Stampa»
3 novembre 1999

Lohengrin, l'equilibrio è donna

Ardua la conciliazione tra passato e futuro nella regia di Luca Ronconi, impegnato a sfuggire all'oleografia senza cadere nell'aridità. Ronconi realizza la quadratura del cerchio concentrando il dramma nello scontro tra due coppie: da un lato il cavaliere che, su una navicella trainata dal cigno, accorre in soccorso all'innocente celando il proprio nome alla candida Elsa; dall'altro lato la diabolica Otruda, adoratrice degli Dei germanici, che assieme al succube consorte, distrugge il celeste amore. Tutti gli altri – sassoni e brabantini – formano una folla anonima, assiepata davanti a una nuda parete.[…] In una concezione tanto rigorosa (asciutta, dice Ronconi), occorre grande intelligenza per evitare la monotonia. Un ampio contributo viene dalle scene di Margherita Palli dove la geometria delle alte pareti è squarciata dalla tempesta degli animi. Nella severe cornice Ronconi da il meglio di sé nel realizzare, con la precisione e la varietà dei gesti, i caratteri e le situazioni: la spietatezza di Otruda, la torva ribellione del suo uomo, la malinconia del cavaliere del Cigno, destinato alla mistica solitudine, e la fragile purezza di Elsa. Ci sono momenti incantevoli in questa regia.
Rubens Tedeschi
«L'Unità»
4 novembre 1999

Ecco Lohengrin cavaliere alieno

Luca Ronconi coglie subito il nodo della visione che Wagner ha proiettato nel Lohengrin: il cavaliere del Graal è un alieno, una creatura extraterrestre. Viene a redimere l'umanità dai desideri disordinati di potere e di sopraffazione. Ma l'umanità non vuole essere redenta, Elsa fallisce la prova, e l'umanità resta inabissata nelle sue lotte e nei suoi crimini per il potere. Ronconi veste Lohengrin con il costume tradizionale del cavaliere medievale. Tutti gli altri personaggi vestono abiti di oggi, a significare che l'umanità che agisce nel Lohengrin è l'umanità di tutte le epoche. Le scene di Margherita Palli, bellissime, sono poco più di oggetti sul palcoscenico nudo, scale, scatole, passerelle. Le luci, perfette, di Guido Levi, fanno vivere gli oggetti, scandiscono i tempi dell' azione: bianca nei dialoghi, luminosa nell'apparizione di Lohengrin e nel duetto nuziale. Uno schermo, davanti al quale Lohengrin racconta chi è, si anima con l'ombra del cigno che si fa ragazzo e con l'ombra di Lohengrin stesso che scompare. I costumi, molto tedeschi, di Vera Marzot fanno il resto: Lohengrin è infatti un'opera cupamente e disperatamente tedesca. E sublime. Una meditazione sul male: anzi, la rappresentazione del Male che nessun Bene può togliere dal mondo.
Dino Villatico
«La Repubblica»
4 novembre 1999