Die Vögel (Gli uccelli)

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Le parole di Luca Ronconi


Anche negli «Uccelli» al Burgtheater ho lottato contro l’impossibilità. Non ho organizzato lo spettacolo come un contrasto tra due mondi – quello degli uomini e quello degli dei, come un sopra e un sotto – ma come una chimera, come l’impossibilità di due amici di tentare un’evasione ridicola. C’erano dunque questi due amici, diversi per età e per fisico. Uno allevava un corvo, l’altro una cornacchia. C’era una stanza tutta specchiante con due lettini, uno vicino all’altro, e una finestrina con un cannocchiale con cui questi due guardavano verso l’esterno. Vedono un mondo a coppie come quelle che affollano il foyer del Burg e dell’Opera di Vienna: vogliono uscire da tutto questo, ma non ci riescono. Gli Uccelli, dunque, li intendevo come la rappresentazione di un’aspirazione, come qualcosa di molto realistico e di velleitario allo stesso tempo. La scena, bellissima, di Luciano Damiani suggeriva come due scatole, una dentro l’altra: c’era la scatola-stanza di Evelpide e Pisetero con una finestra, che poi si apriva su un muro altissimo tutto a loculi. Gli dei non si vedevano ma comparivano alla fine come personaggi di una città (il sindaco eccetera). Il mondo in una stanza che si trasformava, di volta in volta, in una rappresentazione di luoghi proibiti: una fumeria d’oppio, un teatro, un bordello, un ristorante. Qualcosa di molto simile alla «Cagnotte» di Labiche, dove dei borghesucci sognano un viaggio che non possono fare. Lo stesso tema si ritrova in altri miei lavori: sia l’«Anitra selvatica» che «L’uccellino azzurro» infatti sono spettacoli dove la libertà del volo viene negata, dove esiste un’impossibilità. Il momento più forte era quello che precedeva la parabasi: già pensando alla costruzione di una città immaginaria, i due amici si addormentavano sui loro lettini, la parete della stanza si apriva sul fondo e iniziava la parabasi, guidata da una vecchia attrice, del tutto simile a una nonna per i due bambini. A un certo punto, però, la vita dei due bambini cambiava: Evelpide rimaneva un bambino e diventava uccello davvero; Pisetero costruiva una brutta città fascista e si sposava con una vecchiaccia. Ho avuto una trovata che mandò in bestia i viennesi: al banchetto nuziale Pisetero si mangiava una schidionata di uccelli, tra i quali il povero Evelpide. Un vero e proprio atto di cannibalismo.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 234-235