Lehman Trilogy

Autore:   Stefano Massini

Scene:   Marco Rossi
Costumi:   Gianluca Sbicca
Luci:   A.J. Weissbard
Suono:   Hubert Westkemper
Trucco e Acconciature:   Aldo Signoretti

Personaggi - Interpreti (in ordine di apparizione):
Henry Lehman - Massimo De Francovich
Emanuel Lehman - Fabrizio Gifuni
Testatonda Deggoo - Martin Ilunga Chishimba
Philip Lehman - Paolo Pierobon
Mayer Lehman - Massimo Popolizio
Solomon Paprinskij - Fabrizio Falco
Davidson, Pete Peterson - Raffaele Esposito
Archibald, Lewis Glucksman - Denis Fasolo
Herbert Lehman - Roberto Zibetti
Robert Lehman - Fausto Cabra
Carrie Lauer, Ruth Lamar, Ruth Owen, Lee Anz Lynn - Francesca Ciocchetti
Signora Goldman - Laila Maria Fernandez

Registi assistenti:   Emiliano Bronzino, Giorgio Sangati
Assistente alla regia:   Lisa Capaccioli
Assistente scenografa:   Giulia Breno
Assistente costumista:   Sara Gomarasca
Assistente alle luci:   Pamela Cantatore



Prima rappresentazione
Piccolo Teatro Grassi, Milano
29 gennaio 2015

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Sono tante strofe, una inanellata nell’altre: in qualche modo verrebbe da cantarla. Contiene ritorni continui, vere e proprie formule celate all’interno del discorso, come nella poesia epica. Quel che in qualche modo dobbiamo cercare di fare è imprimere un’aria, un andamento naturale a una forma che naturale non è. Una ballata non segue l’andamento cronologico, lineare, nella narrazione di un evento. Ed è quanto accade qui: talvolta si parte dalla coda, si ritorna al centro, si conclude come si è cominciato, in un continuo andirivieni. Non è una forma naturale per il teatro: a teatro le scene si giustappongono con un andamento rettilineo, dall’inizio alla fine. Come si fa a conferire naturalezza a ciò che naturalezza non ha? Per come la intendiamo comunemente, la naturalezza, a teatro è ad esempio quella del colloqui, ma questi sono personaggi che non possono colloquiare perché ognuno di loro è spesso immerso in una temporalità diversa da quella degli altri […]. E’ uno degli aspetti che mi hanno più colpito di questa drammaturgia: l’impossibilità di stare dentro un percorso segnato. Qui si tratta esattamente non di recitare un ruolo, bensì di abitare una zona narrativa che ha a che fare con un personaggio. E’ come se Henry, Emanuel, Mayer, Philip e tutti gli altri personaggi non esistessero in scena per una loro psicologia o per un loro “vissuto”, ma solo per comporre il mosaico della narrazione complessiva, alla quale danno i loro apporto sotto forma di discorsi diretti (pochi) e di visioni.
Intervista dal programma di sala