Medea

Autore:   Euripide
Traduzione:   Umberto Albini

Costumi:   Jacques Reynaud
Luci:   Sergio Rossi


Produzione:   Teatro degli Incamminati

* Lo spettacolo viene riportato in scena nella stagione 2017/2018 con la regia di Ronconi ripresa da Daniele Salvo

Prima rappresentazione
Teatro Donizetti, Bergamo
13 dicembre 1996

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Le letture in chiave psicologica di Medea portano a considerare questo personaggio il prototipo dell'eroina combattuta tra il rancore per il proprio uomo e l'amore per i propri figli; d'altra parte le analisi sociologiche tendono a trasformare la principessa della Colchide in una sorta di precorritrice del movimento femminista. Se si cerca di restituire alla tragedia il suo autentico significato 'politico', ci si accorge però che, per il pubblico ateniese dell'epoca di Euripide davanti al quale Medea fu rappresentata per la prima volta, lo snodo principale dell'azione doveva essere il dialogo tra Medea ed Egeo: in virtù dell'accordo stabilito tra i due personaggi, proprio Atene si prepara infatti a diventare teatro per la devastante passione di Medea, una volta che quest'ultima abbia portato a termine a Corinto il proprio disegno di vendetta. Aldifuori di ogni cedimento a suggestioni introspettive, totalmente estranee alla logica costruttiva delle dramatis personae della tragedia classica, Medea tende dunque a presentarsi non tanto come una donna lacerata dall'amore o come una femminista ante litteram, quanto piuttosto come una 'minaccia', e per di più come una 'minaccia' che incombe imminente sul pubblico. Sin dalla prima lettura dell'opera risulta evidente che l'inganno è la principale arma della principessa barbara: ella non raggira soltanto Creonte, Giasone ed Egeo, ma cela i propri intenti anche al coro svelando solo all'ultimo il proprio segreto proposito di uccidere i figli avuti da Giasone. L'asse strutturale portante dell'architettura tragica - e cioè il rapporto tra coro ed eroe - è dunque inquinato sin dall'inizio da una perversa arte dissimulatoria: Medea riesce a guadagnarsi la complicità delle 'amiche' coreute occultando i propri reali progetti dietro le sue magniloquenti difese del sesso femminile. La scelta di un interprete maschile come Franco Branciaroli per il ruolo di Medea consente di tentare un'approssimazione all'oggettività della tragedia. Spostando il baricentro del dramma dal rapporto Medea-Giasone a quello Medea-coro e sottraendo parallelamente il testo alle interpretazioni 'psicologiche' e socialmente 'rivoluzionarie', Medea svela infatti la propria autentica identità di maschera impenetrabile, figura di un'irriducibile alterità pronta a pietrificare, come una nuova Medusa, che cerchi di decifrare il suo segreto. Recuperando la prospettiva di Euripide, che sin dal titolo opta per il punto di vista della protagonista a scapito di quello del coro, l'ossimoro di una Medea-uomo traduce scenicamente l'ambiguo statuto del 'personaggio': il pubblico vede l'enigma nefasto che al coro è nascosto. Sul piano della 'ricostruzione' filologica occorre poi rilevare che, considerati in prospettiva storica, i valori sui quali Medea costruisce il proprio agire sono eminentemente maschili: nella cultura greca del V secolo avanti Cristo la 'fama' che preoccupa l'eroina appartiene infatti all'universo etico dell'uomo. Nel contesto della civiltà spettacolare in cui nacque la tragedia, la credibilità di Medea era dunque intrinsecamente connessa al fatto che il personaggio fosse interpretato da un attore-uomo. [...] L'alterità di Medea non è dunque puramente geografica, ma essenzialmente 'storica': il personaggio nasce in un mondo ancora popolato da certi dei e si trova esiliato in una cultura nella quale vigono interessi e convenzioni che hanno decretato il tramonto dei valori tradizionali. Il terribile stretto dell'Ellesponto che Medea ha superato a seguito degli Argonauti non è solo un luogo geografico, ma è una metafora di una frattura storica, di una svolta epocale. La percezione di un passaggio a una cultura 'geograficamente', diversa è molto più forte all'interno del dramma nei due personaggi che si fronteggiano della Nutrice e del Pedagogo: nella tragedia si parla in effetti molto dell'approdo a un paese diverso dalla propria patria, ma questo problema è portato più dalle figure al seguito di Medea - Nutrice e Pedagogo appunto - che non dalla principessa. Medea avverte come una colpa l'aver abbandonato il paese dei padri e si sente l'artefice dello sterminio di alcuni valori antichi. Nel momento in cui dichiara al Sole che ucciderà i propri figli, l'eroina parla anche di una propria colpa: la sua presunta vendetta amorosa si converte cosi in un sacrificio rituale. Con la perdita dei figli Giasone paga il prezzo non tanto per il tradimento amoroso da lui consumato ai danni di Medea, quanto per l'infrazione del giuramento che lo aveva legato alla principessa barbara; per Medea invece l'assassinio delle proprie creature è il sacrificio espiatorio per aver ucciso i valori antichi accettando di sposare un greco. Comunque lo si voglia vedere, il significato rituale del crimine di Medea riporta appieno la tragedia al suo ambito tragico.
Intervista di Claudio Longhi per il programma di sala

Rassegna Stampa

dal Patalogo 20 (Ubulibri, Milano, 1997) 

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri


Sono anch'io un donnone, vestito con uno di quegli abiti che si vedevano nelle foto delle nonne al cimitero, neri, con dei piccoli fiorellini chiari, allacciati fino al collo. Mi metteranno un golf aperto, sopra, a nascondere il punto vita, quello più critico... E poi scarpette col tacco grosso, serie. I capelli? Allungheranno i miei, in una pettinatura un po' piena sopra le orecchie. Ma sarà tutto leggero, anche il trucco... Un po' di imbarazzo, per questa prima volta da donna? Ma no, anche se mi chiedo come sarà l'impressione che farò in scena, un po' di emozione per il vestitino ce l'ho... In realtà sono molto felice, faccio delle cose che di solito non è permesso fare. Ma io non interpreto una donna, sono nei panni di un uomo che recita una parte femminile, è molto diverso. Non è come se facessi la Signora delle Camelie, un attore che per stravaganza sta facendo una parte di un'attrice, la verità è che quella parte è sempre stata fatta da un attore. Mettiamoci nei panni del pubblico greco: andavano a teatro, e sapevano che tutti i ruoli erano interpretati da uomini, anche quelli delle donne. Così venivano fuori le battute antifemministe di Euripide del tipo 'non sono un guaio, ma donna sì', oppure 'noi donne siamo incapaci di far del bene, ma espertissime in ogni genere di male.' [...] Medea è un mito: rappresenta la ferocia della forza distruttrice. Rimettiamoci nei panni del pubblico greco: vedendo la tragedia, saprà che arriverà ad Atene una forza che si accanisce sulle nuove generazioni, i suoi figli: 'Medea dallo sguardo di toro', come viene definita all'inizio. Lei è una smisurata, dotata di un potere sinistro. Che usa la femminilità come maschera, per commettere una serie mostruosa di delitti: non è un caso che la prima a cadere sia una donna, la regina, la nuova sposa di Giasone: altro che femminismo!
Intervista a Franco Branciaroli di Donatella Borghesi
«Marie Claire»
Novembre1996
Ma allora, ci domandiamo noi, perché Medea fa la femminista? La risposta è semplice: perché a lei serve avere dalla propria parte il coro. Da qui il rapporto falso. La femminilità per lei è una maschera, è il mezzo per accattivarsi le donne greche.
Intervista a Franco Branciaroli di Osvaldo Guerrieri
«La Stampa»
30 luglio 1996