Memoriale da Tucidide. Pericle e la peste

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Le parole di Luca Ronconi


Ronconi, perché la scelta di mettere in scena Memoriale da Tucidide di Enzo Siciliano?
Ci è parso come un completamento al lavoro complesso sulla tragedia greca di Eschilo e di Euripide che abbiamo portato avanti con Prometeo incatenato e con Baccanti. Avendo in qualche modo collocato le tragedie anche nella loro prospettiva storica e non solo in quella letteraria, un aggancio a quella che era la loro vicenda storica, quella guerra del Peloponneso che per lunghi anni insanguinò la Grecia, ci è sembrato potesse avere qualche motivo d'interesse.
Così di fronte a Prometeo e a Baccanti, alla loro visione poetica, emozionale e fortemente soggettiva dei rapporti uomini-dèi ecco la scrittura volutamente oggettiva, quasi scientifica, per nulla oracolare del Memoriale da Tucidide : come abbracciare uno stesso problema con uno sguardo diverso...
La stessa cosa avviene anche con le Rane, che sono scritte più o meno nella stessa epoca e che ci aiutano a capire come sono andate le cose. Con una forte differenza però: in Aristofane ci affascina il fatto che, pur partendo da invenzioni fantastiche, in realtà racconti quasi esclusivamente come realmente la gente viveva, la vita di tutti i giorni insomma. Leggendo quel che di Tucidide resta quasi filtrato nel testo di Siciliano, si ha l'impressione di un rigore morale, di una severità e anche di un senso della tragedia immanente che nel teatro di Aristofane, dove domina il sarcasmo, non c'è.
In primo piano c'è Atene, la città di Tucidide. Atene contrapposta a Sparta con la sua potenza, i suoi affari, i suoi uomini politici, a partire da Pericle che lo storico ammirava, il suo ordinamento politico: sembra di leggere, di ritrovare quella glorificazione della città così come era presentata nella terza tragedia l’Orestea , le Eumenidi in un suo lontano spettacolo... ancora una volta nel suo teatro tutto si tiene, tutto viene da lontano: è d'accordo?
Be' si, è vero. Ci tengo però a sottolineare che Memoriale da Tucidide è un piccolo spettacolo di un'ora circa che ha il suo centro, il suo cuore nella parola. Dove quello che conta è, appunto, la parola. In scena c'è una pedana, i due attori, che sono Massimo De Francovich e Francesco Siciliano, affiancati da un gruppo di allievi della nostra scuola, sono vestiti con abiti di tutti i giorni. Lo firmo con "a cura di": il che non vuole essere una civetteria e non significa certo che l'abbia fatto con la mano sinistra, ma piuttosto per non creare un'aspettativa come dire "spettacolare" che nuocerebbe allo spirito con il quale abbiamo lavorato. Perché Memoriale da Tucidide è un'anomalia non un evento spettacolare.
Un'anomalia che, però, sembra ricca dei fermenti di una forte contemporaneità che si conferma anche attraverso alcuni concetti che qui si affermano. Per esempio: l'uomo è "superfluo" se non pensa al bene comune, che non è mai il proprio bene esclusivo...
Certamente. C'è poi anche da sottolineare che Siciliano ha costruito un testo frammentario, che va preso e rappresentato proprio come è stato scritto senza andare alla ricerca di un filo continuo. Solo così i frammenti ci colpiscono come delle schegge con tutta la loro forza.
Lo possiamo definire un testo, in senso lato, politico?
Le risonanze sono quelle. Ma un testo politico è pensato e scritto con un'intenzione specifica, di parte mentre Memoriale da Tucidide non è tanto un messaggio di parte, quanto piuttosto un monito morale.
Lavorandoci si è chiesto chi fosse per lei Tucidide oltre che uno storico?
Mi sono reso subito conto come non fosse giusto fare un'indagine attorno a un personaggio. In fin dei conti non importa tanto sapere chi sia Tucidide, quanto dare una legittimità ai vari segmenti che costituiscono quest'opera; quindi non ci si deve aspettare un'identificazione di quello che l'attore dice con il personaggio. Non solo, ma ho escluso tutto quello che poteva sembrare civetteria, artificio teatrale. I due attori, dunque, non sono due personaggi ma due voci senza alcuna identificazione precisa che possono, di volta in volta, essere Tucidide scrittore, un lettore di Tucidide, un suo contemporaneo, un postero, un nostro contemporaneo... cercando di dare una certa mobilità al dettato senza mai chiedersi "ma lui chi è, come parlava?" No, quello che qui conta davvero è trovare una passionalità etica allo stato primario.
Può spiegarsi meglio?
Quando si parla dell'obiettività di Tucidide siamo portati a pensare a una forma di lucida freddezza. Non è così perché, appunto, esiste anche una passione che riguarda la vita civile.
Qui si racconta una guerra durata ventisette anni e l'inarrestabile decadenza di Atene. Tredici anni fa lei mise in scena Gli ultimi giorni dell'umanità di Karl Kraus che avevano al loro centro la prima guerra mondiale e la decadenza dell'impero asburgico. Spontaneamente poi ci viene in mente che in molte parti del mondo ci sono guerre anche oggi, spesso portate avanti con motivazioni quasi identiche...
Gli ultimi giorni dell'umanità sono una cronaca quotidiana della guerra e raccontano come si viveva a corte, nelle famiglie, nei giornali, al fronte, in trincea, negli ospedali, al tempo di quel conflitto. In Memoriale da Tucidide la quotidianità manca del tutto e si ha l'impressione che quello che conta davvero siano i rischi che corre la democrazia ateniese piuttosto dei pericoli della guerra per la vita della gente. Quello che è in pericolo, per lo storico, è la convivenza civile perché la guerra con i suoi rovesci, le sue sconfitte, le morti ha portato all'affermazione dell'interesse particolare, all'odio, alla ricerca di ogni piacere. La guerra del Peloponneso di Tucidide non è una cronaca ma una riflessione sulla guerra, sulle contraddizioni che possono svilupparsi. Sarei poi cauto sull'analogia ieri/oggi: l'idea di guerra che aveva Kraus e ancor più quella che aveva Tucidide non corrisponde a quella che abbiamo noi anche se pur sempre, ahimè, di guerre si tratta. Le analogie, semmai, nascono dalle ragioni per cui si fa una guerra: nuovi alleati, nuovo potere, nuovi mercati.
Accanto ad Atene, a Pericle, a Tucidide c'è un'altra protagonista: la peste che si abbatte sul potente e sul povero indiscriminatamente e su quella "isonomia"; la fondamentale parità fra ricchi e poveri nel diritto di dare un giudizio sugli eventi che riguardano la città, che è un fondamentale momento della democrazia ateniese secondo Tucidide...
E’ vero. Il racconto per sintomi e conseguenze dello scoppiare inarrestabile dell'epidemia è semplicemente impressionante. Ma ancora una volta a venire in primo piano, aldilà dei pur tremendi effetti fisici della malattia, descritti con una precisione a dir poco sorprendente, è la perdita dei valori, le conseguenze etiche, la ricerca egoistica del proprio piacere.
Raccontare in scena tutto questo non è proprio facile: cosa ha chiesto agli attori?
Una grande mobilità: non fisica ma mentale. Non ci sono personaggi, non ci sono appigli psicologici, ma è necessario stabilire rapporti con un interlocutore che non è un personaggio, fra il prima e il dopo, con un testo arduo da mandare a memoria cui non si può dare teatralità perché non è teatrale, ma che deve comunque "passare". No, non è facile.
Conversazione con Maria Grazia Gregori (dal programma di sala)