Pluto


Prima rappresentazione
Teatro Greco, Epidauro
17 agosto 1985

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


[In «Medea»] A segnare il passaggio da una situazione a un’altra, a ribadire un’idea di scorrimento continuo, c’erano dei pannelli di rete di ferro, perpendicolari alla ribalta. Una figura, questa del passaggio, che c’era in «Utopia», c’era nel «Don Carlo» della Scala, c’era, come riproduzione di tanti giorni uguali, nell’«Anitra selvatica», c’era – legata all’evolversi dei fatti storici – nelle Carmelitane.La stessa idea di movimento stava alla base di un altro spettacolo, il «Pluto» di Aristofane, che ho messo in scena nel 1985 a Epidauro, su invito di Melina Mercouri, allora ministro della Cultura ellenico, che mi aveva chiesto di pensare a qualcosa da rappresentare all’interno delle manifestazioni per Atene Capitale europea della cultura. Un lavoro pour la Patrie, diceva: e infatti lavorai realmente per la patria, cioè con pochissimi soldi. Al centro di «Pluto» era possibile ritrovare un altro volto dell’utopia aristofanesca che qui si concretizzava nel desiderio di maggiore giustizia nella distribuzione delle ricchezze. Dunque secondo una chiave che poneva in primo piano proprio il rapporto esasperato con il denaro in una società contadina: un universo costruito su tremilacinquecento canne, a fare da pavimento, ondeggiante e graffiante distesa, dentro il quale, vestiti secondo una mediterranea quotidianità contadina, capitombolavano, sgusciavano, si acquattavano gli attori. Un realismo analitico, che si rispecchiava in un melodramma agreste, dove si contrapponevano, in continuo movimento, povertà e ricchezza, austerità e consumismo, che si riflettevano, a loro volta, nel movimento di piattaforme mobili, su binari in mezzo alle canne, che innalzavano a mezz’aria attori e portali, letti e automobili.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 241-243

Rassegna Stampa

dal Patalogo 9 (Ubulibri, Milano, 1986) 

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri


Il caso narrato è proprio quello di Pluto, dio della ricchezza, reso cieco da Zeus. Sotto la sua apparenza stracciata, viene letteralmente acchiappato dal vecchio Cremulo e dal suo sgangerato servitore per essere condotto al tempio quindi riacquistare la vista. Cremulo (l'attore Stavras Paravas, una sorta di Tognazzi ellenico) fa scattare per sé, i suoi parenti e conoscenti, il ribaltamento e la sorte, con tutte le conseguenze positive e negative che si possono immaginare, fino all'allontamento del dio verso un posto di riguardo sull'Acropoli. Tutto questo Ronconi ha ambientato in un universo campestre costruito su 3.500 canne che sono pavimento, contenitore e il significato stesso di questo rapporto esasperato col denaro. Dentro a questa ondeggiante e graffiante distesa, capitombolano, sgusciano e si acquattano gli attori. Vestiti a loro volta di una mediterranea quotidianeità contadina che sfuma dal nero al malva. Sopra alle canne scorrono piattaforme su binari che librano a mezz'aria, come nel racconto biblico della camminata sulle acque, attori e portali, letti e automobili. Su una vecchia auto anni Trenta, gracidando prediche attraverso un megafono, arriva infatti come una suffragetta la Povertà, che con la contrapposta ricchezza impersonata da Pluto, sarebbe più giusto oggi chiamare rispettivamente austerità e consumismo. Lei viene cacciata via in malo modo, anche se la sfilata degli altri personaggi rovesciati da Pluto, veri testimoni d'accusa e a difesa nella grande disputa sulla giustizia, non renderanno alle scelte del dio maggiori grazie. Aristofane notoriamente non corre il rischio di passare per democratico quanto a ideologia, ma Ronconi (che pure ha usato la traduzione in greco moderno di circa trenta anni fa, opera di un intellettuale comunista, Kostas Varnalis) ne riprende lo spirito più profondo di partecipazione e conoscenza popolare.
Gianfranco Capitta
«Il Manifesto»
20 agosto 1985