Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Autore:   Carlo Emilio Gadda

Scene:   Margherita Palli
Costumi:   Gabriele Mayer
Luci:   Sergio Rossi
Suono:   Hubert Westkemper
Musiche:   Paolo Terni
Movimenti:   Elizabeth Clarke

Personaggi - Interpreti:
Commissario Francesco Ingravallo - Franco Graziosi
La signora Antonini - Maria Grazia Bon
Pompeo Porchettini detto Sgranfia - Antonio Zanoletti
Gaudenzio Deviti detto Biondone - Stefano Lescovelli
Dottor Fumi - Massimo De Rossi
Liliana Balducci - Ilaria Occhini
Remo Balducci - Corrado Pani
Assunta Crocchiapani - Sabrina Capucci
Gina Zanchetti - Cristina Spina
Giuliano Valdarena - Massimo Popolizio
Manuela Pettacchioni, portinaia - Evelina Meghnagi
Un brigadiere - Clemente Pernarella
Contessa Teresa Menegazzi - Paola Bacci
Enea Retalli - Marco Bonini
Ascanio Lanciani - Alberto Gasbarri
Signora Cucco - Franca Tamantini
Professoressa Bertola - Paola Bigatto
Signor Bottafavi - Mico Cundari
Maresciallo Di Pietrantonio - Pierfrancesco Favino
Lo sbandato - Gian Paolo Poddighe
Incaricato Ufficio Criminologico - Marco Toloni
Zi' Marietta - Loredana Solfizi
Zi' Elviruccia - Giuliana Calandra
Orestino - Massimiliano Sbarsi
Don Lorenzo Corpi - Luciano Virgilio
La Milena - Paola D'Arienzo
La Ines - Benedetta Cesqui
La Virginia - Caterina De Regibus
Brigadiere Pestalozzi - Giovanni Crippa
Ines Cionini - Alvia Reale
Zamira Pacori - Marisa Belli
Clelia Farcioni - Cristiana Manara
Diomede Lanciani - Pietro Sermonti
Milite Cocullo - Massimo Poggio
Lavinia Mattonari - Silvia Iannazzo
Camilla Mattonari - Valentina Fago
Un uomo - Roberto Tozzi


Produzione:   Teatro di Roma


Prima rappresentazione
Teatro Argentina, Roma
20 febbraio 1996

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Uso il testo così com'è, senza mediazioni drammaturgiche, lasciandogli la sua autonomia di romanzo. Per questioni di durata ho fatto molti tagli, ma non cambio una sillaba. Attribuisco le pagine ora a questo ora a quel personaggio: chi dialoga, chi racconta, chi testimonia quanto ha visto o sta vedendo, chi prefigura fatti a venire. È la lingua di Gadda a rendere possibile questo trasferimento dalla pagina alla scena perché presuppone l'oralità. L'impasto linguistico gaddiano è vivo, passionale. Barocco, certo, ma senza artificio letterario. Dice Gadda: è la vita a essere barocca. Lui vi sì adegua riflettendo con strumenti letterari quel garbuglio di cause che debilita la ragione del mondo". (...) Il pasticcio, certo, è attualissimo. Ma anche eterno: antropologico o costituzionale in un paese dominato dal perenne intrigo plautino di servi e parassiti. A Roma in particolare, la mia città, la stessa del romanzo, la tendenza all'imbroglio e al sotterfugio è permanente. La scena sarà un'arena per gli attori. Sarà il loro movimento, con le parole, a creare la dinamica dello spettacolo. Ognuno ha un ruolo, da cui però, proprio per la naura del testo, entra e esce di continuo: per proiettarsi nel futuro, per ricordare il passato... Il tutto in un'epoca non troppo definita: evito l'episodio di costume, la ricostruzione ambientale, per non presentare l'azione come pertinente solo al periodo del romanzo, ai primi anni del fascismo. Il "pasticcio" inizia assai prima e non finisce dopo". (...) "La chiave del giallo non è importante, visto che manca il presupposto del genere poliziesco: un investigatore che guida il lettore alla scoperta del responsabile di un delitto. Qui non c'è un itinerario razionale verso la verità, ma una diramazione di crimini, un ingarbugliarsi di storie, rapporti, misfatti. Questo interessa Gadda, non la ricerca di una soluzione, che infatti non arriva: il racconto termina senza colpevole. E sono pieni di ombre i personaggi, tutti, anche il protagonista, il commissario Ciccio Ingravallo, che quando sta per scoprire l'autore del crimine si ferma, rimuove: 'si rifiuta d'intendere' scrive Gadda. Insomma, non c'è un campionario di simpaticoni. Ma non c'è neanche nel teatro di Molière.
«La Repubblica»
17 febbraio 1996

Il lavoro di riduzione dal libro al teatro e' stato semplicemente un lavoro di tagli. Nessuna manipolazione e' stata fatta sul testo, solo un'inevitabile scelta di brani, nonostante la quale la durata del lavoro sfiorerà comunque le quattro ore. D'altro canto, un'impresa letteraria del genere non può certo essere contenuta nella scarpetta di Cenerentola.
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Intervista a Luca Ronconi


Dopo la messa in scena lo scorso anno di "Dio ne scampi dagli Orsenigo" di Vittorio Imbriani ecco ora "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Carlo Emilio Gadda: due autori “impossibili” dal linguaggio barocco, espressionista, molto studiato. Come si spiega? E’ sfiducia nella drammaturgia tradizionale o bisogno di allargare i confini?
Forse è proprio bisogno di allargare i confini. Non voglio dire che non esistano buoni testi per la rappresentazione, dico che spesso la drammaturgia e troppo soggetta ai condizionamenti di mercato. Vorrei più scambio tra palcoscenico e letteratura. Il palcoscenico dovrebbe sforzarsi di proporre molte più forme. Invece abbiamo una scena fissa, per facilitare il trasporto, tre soli personaggi per risparmiare. Così non si rende un buon servizio al teatro. Bisogna invece dire: guardate che si può fare di più.
E ricorrere ad un romanzo può allargare le prospettive?
Ritengo proprio di sì, faccio un esempio. Nel teatro italiano il dialogo e sempre stato qualcosa di problematico: noi ci ostiniamo a pensare che la base della drammaturgia sia il dialogo, ma si può comunicare anche al di là del dialogo. Esistono altre forme: il monologo, gli 'a parte'...Il materiale narrativo impone di esperire tutte queste possibilità e al tempo stesso permette di stimolare maggiormente la comunicazione tra platea e palcoscenico. Il trasferimento del Pasticciaccio sulla scena vuole essere anche la proposta di un possibile modello di drammaturgia contemporanea, intendendo per contemporaneo non tanto un’adesione alla realtà quotidiana, ma il modo attraverso il quale una storia viene rappresentata.
Questa è una linea che nel suo lavoro di regista ha già una storia.
Sì, è cominciata venticinque anni fa con "Orlando furioso" ed e continuata con "Gli ultimi giorni dell’umanità".
Il suo lavoro é stato influenzato da "Palazzo degli ori", il trattamento cinematografico che Gadda stesso elaborò sulla base della trama del Pasticciaccio, o dalla sceneggiatura di "Un maledetto imbroglio", il film che Germi trasse dal romanzo?
No. Ho pensato questo lavoro in termini puramente teatrali, tanto che, pur avendo a disposizione diverse soluzioni, l’ho voluto mettere in scena all’Argentina: per ribadire il suo taglio, la sua chiave teatrale.
Con quale grado di fedeltà verso il romanzo?
Assoluto nei confronti del testo, ma con qualche libertà personale, necessaria per superare i limiti del personaggio e per allargare gli spazi. Si è tolto quello che c'era da togliere, ma si è mantenuta intatta la lingua e la struttura del romanzo. Non voglio che il Pasticciaccio portato sulla scena somigli ad una commedia sfilacciata; desidero al contrario che conservi intatta tutta la forza della pagina.
Quali motivi l’hanno spinta a mettere in scena il romanzo di Gadda?
Ce ne sono almeno un paio. Innanzi tutto il linguaggio e poi la presenza di un tema particolare a me molto caro: sentire il reale come possibilità.
Come può il linguaggio estremamente letterario di Gadda affascinare l’uomo di teatro?
Si tratta di un linguaggio che presuppone la vocalità, la fisicità. Può risultare difficile alla lettura, ma se lo si rende fisico, diventa più accessibile, più diretto.
Quale struttura formale può accogliere il complesso schema narrativo del Pasticciaccio?
Mentre siamo prontissimi ad accettare tutto da un testo in cui la parola non ha importanza, quando la parola acquista un valore forte pensiamo immediatamente al teatro classico. In questo caso non può essere così. L'elemento portante è il linguaggio, ma la forma deve essere libera.
Quale ambientazione ha pensato per lo spettacolo?
In realtà non ci sarà un’ambientazione precisa. Ci saranno gli anni Trenta e il fascismo, non mancherà qualche cenno a Mussolini, ma somiglieranno ad appunti intermittenti della memoria. Sarebbe del tutto inutile riprodurre Roma: siamo all'Argentina, nel cuore della città! Perché si dovrebbe rappresentare la città sul palcoscenico. Credo che ogni forma di naturalismo bozzettistico vada evitata: la scena non si dovrà trasformare in una sorta di set cinematografico.
da un programma di sala

Rassegna Stampa

Ronconi con Gadda in Via Merulana

E' stata una passione di molti grandi registi, prima di Luca Ronconi, quella di reinventare la drammaturgia grazie ai ritmi e all' espressività garantiti dal recupero della pagina letteraria. Ora Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ci regala un' alta serata di emozioni e di gran teatro attraverso un' assoluta fedeltà a un romanziere straordinario, portandone in scena così com' è il flusso poderoso del suo barocco che procede a furia di diversioni. Gl' inevitabili tagli non intaccano la scrittura, talché ciascuno qui si recita e si racconta, dicendo le parti che lo riguardano quasi sempre in terza persona, mentre di fatto le vive, col gusto di mostrarci il gesto annunciato, ma anche a volte di contraddirlo con doppio effetto ironico. Riluce quindi come autentica forza trainante nello spettacolo del Teatro di Roma un linguaggio coinvolgente e critico, reale quanto la materia evocata dall' orgoglio beffardo di un romanesco che gioca impastandosi con le molte altre lingue del nostro parlato, dentro a uno spazio in falso marmo, nel giallo ocra del ' palazzo dell' oro' (o ' dei pescicani' ) di via Merulana 219: uno spazio brulicante d' immagini che si compongono e si smangiano assieme alle parole, fin dall' inizio bellissimo con quella folla di spalle che s' allontana verso l' arcata bionda, mentre ne emerge in senso inverso il commissario Ingravallo. Dietro all' omaggio a una città vibrante e cinica, datata e immanente nel tempo, c' è come infatti si sa un ' poliziesco' che serve a penetrarne le giornate e al quale Franco Graziosi, fisicamente ' ricostruito' dal parruccone bruno, conferisce il filtro cupo e intenso delle sue piccole manie personali e di un filosofico scetticismo, nell' indagare sui due delitti avvenuti a tre giorni di distanza sullo stesso piano della citata casa, la rapina della contessa veneta incarnata dalla bravissima Paola Bacci e la barbara uccisione dell' infelice e inutilmente sensuale Liliana Balducci di Ilaria Occhini. Sono le chiavi per rovistare in un privato mai del tutto indenne da macchie e per dar voce a una coralità popolare che offre sequenze memorabili e straborda con la sua chiacchiera nei corridoi di platea, in questo 1927 di arrembante fascismo, sotto il volto statuario del ' Mascellone' ; e a costui son dedicate, dal dopoguerra di Gadda, delle tirate derisorie con l' efficacia veemente di Gian Paolo Poddighe, e un esilarante quadro ginnico di sconquassate Piccole Italiane. Grazie agl' interpreti e al lavoro scenografico magnifico e lineare di Margherita Palli, c' inoltriamo dagli esterni urlanti nel claustrofobico ambiente del delitto, dove il cadavere di Liliana si alza tra i mobili sconvolti a rivivere un pettegolo passato piccolo-borghese, per evadere poi verso ' il fumigante mistero della città' . Ed ecco dal gallismo del commissariato - dove la napoletanità suadente dell' ottimo Massimo De Rossi duetta con Stefano Lescovelli e Antonio Zanoletti - germinare magicamente un bordello, in attesa di spostarci in moto, con l' entusiasmante carabiniere piemontese di Giovanni Crippa, verso una periferia sempre più desolata, dall' antro ruffianesco della strega troppo drammatica e uniforme di Marisa Belli a trovar la refurtiva in un casello ferroviario e forse una colpevole d' omicidio in una casa segnata dalla morte. Il tragitto via via più compaciuto del romanzo viene chiarificato dalla regia come una discesa agl' inferi, dove la maledizione più non si cura delle identità. La resa della serva indiziata dei Balducci (Sabrina Capucci) risulterà meno forte della visione del padre di lei inchiodato al suo letto di dolore; e s' affianca comunque ai sospetti già suscitati nei riguardi di una cugina della ragazza, fatti balenare riprendendo un brano di una precedente versione del romanzo, mai arrivato alla stesura definitiva. Cinquanta sono gli attori in scena in questa clamorosa prova di vitalità interpretativa in cui, più delle discontinuità, spiccano il gusto del travestimento, la galleria dei volti, la qualità dei più giovani. Accanto ai molti già nominati sono da ricordare almeno Corrado Pani, Luciano Virgilio, Massimo Popolizio in versione macchiettistica, la pittoresca Franca Tamantini, la portinaia impetuosa di Evelina Meghinagi, Maria Grazia Bon, Mico Cundari; e vorrei mettere in primo piano i nuovi (o recenti) arrivi: la splendida Alvia Reale, la sarcastica sicurezza di Pierfrancesco Favino, Silvia Iannuzzo, Marco Toloni, Massimo Poggio e l' immediatezza di Marco Bonini, Caterina De Regibus, Paola D' Arienzo, Pietro Sermonti. I costumi svarianti negli anni Venti sono di Gabriele Mayer, le luci di Angelo Rossi, e di Paolo Terni l' acuta scelta delle musiche, rare ma incisive. Dura cinque ore con due intervalli questo Pasticciaccio, destinato inevitabilmente a essere scorciato: ma è uno spettacolo-capolavoro che s' imprime nella memoria e con la sua forte valenza culturale e politica dà un senso all' esistenza dei teatri stabili.
Franco Quadri
«La Repubblica»
21 febbraio 1996