Ho bisogno di registi con i quali ci si intenda in due parole. Ma non bisogna essere troppo rigidi. La musica, il corpo, lo spazio scenico hanno linguaggi diversi, e non è detto che chi sa gestire il suono sia padrone anche del resto.
Giuseppe Sinopoli (Intervista a cura di Marco Del Corona)
«Corriere della Sera»
26 maggio 1994
Dopo ventidue anni di assenza, Elektra torna alla Scala sotto la bacchetta di Giuseppe Sinopoli, al suo esordio scaligero. Poche altre opere, forse, si attagliano meglio alle qualità del direttore veneziano; infatti, dall’implacabile gesto iniziale (...), sino al tragico finale (...), tutta l’opera scorre in un solo immenso arco espressivo, dove la tensione febbrile non trova un attimo di requie. (...) Ronconi imposta una Elektra basata sulla cruda esasperazione della violenza (la reggia di Micene si trasforma in un mattatoio), quando forse si sarebbe potuto insistere sull’elemento mitico, archetipico, con una realizzazione scenica meno diretta, più allusiva. Interessante, invece, l’idea di movimentare l’atto unico con una serie di cambi di scena (...), che modificano di volta in volta la prospettiva. Il pubblico scaligero (improvvisamente scopertosi fervente straussiano) ha regalato al debutto un clamoroso e meritato successo.
Carmelo Di Gennaro
«Il Sole 24 Ore»
3 maggio 1994
Ronconi (…), oltre a curare da par suo la psicologia dei personaggi, vuole rendere visibili (...) i ‘fatti’ del dramma. Il mondo ellenico cede il posto, nelle scene costruite con la consueta abilità da Gae Aulenti, al rigore di un’architettura che ignora la curva: edifici nudi, spigolosi, finestre cieche, pareti nere che scorrono e si sovrappongono accompagnano le ossessioni dei personaggi. Ossessioni talora sin troppo concrete, come la macelleria con le pareti imbrattate di sangue, i quarti di bue appesi ai ganci e il bancone bianco dove Clitennestra rievoca i suoi deliri notturni. Siamo nel regno dell’uccisione. Qui enormi cavalli, tori, gli stessi uomini corrono alla morte, come in un lager puntualizzato dagli attrezzi, dai bidoni, dai costumi di fatica degli schiavi. Gli incubi del passato si mescolano a quelli del presente. I costumi stessi accostano tempi e caratteri diversi: i mantelli piumati e le nudità di Clitennestra e di Crisotemide (simboli di erotismo e di maternità), il severo grigio di Elettra, il manto sovraccarico di pelli del fatuo Egisto, lo ‘stile Armani’ di Oreste e del precettore. È questo l’ultimo contrasto in una regia che, per mostrare tutto, utilizza i linguaggi più disparati: il simbolo, l’allusività nei gesti e nei rapporti dei personaggi (e qui Ronconi dà il meglio), il realismo che porta alla ribalta anche la battaglia interna.
Rubens Tedeschi
«L'Unità»
30 maggio 1994
Ho voluto dei materiali molto concreti, intendo dire molto duttili e insieme particolarmente tenaci e resistenti, per evidenziare quel senso di costrizione e di minaccia che grava su questa strana tragedia. Intonaci d’asfalto, lamiere pressate, piastrelle da lavatoio pubblico. Tutto, dal bianco al verde al bitume fuligginoso e macabro, concorre all’idea di un lager. Gli animali insieme reali e simbolici che entrano lateralmente devono potenziare questa atmosfera da macello e da massacro, da mattatoio e da mattanza. (…) La scena è un muro cieco all’arrivo di Oreste, una parete inaccessibile e quasi impenetrabile da cui si ritaglia una porticina bassa che pare una feritoia: Oreste è un uomo di oggi, che veste abiti di oggi, mentre gli altri personaggi hanno costumi non databili.
Gae Aulenti (Colloquio con Enrico Groppali)
«Elektra»
Per ottenere un segno preciso, un forte richiamo contemporaneo negli abiti di Oreste e del suo precettore, abbiamo proprio pensato allo stile Armani. Ma sarebbe stato assurdo fare in sartoria una brutta copia di Armani. La miglior cosa era portare in scena la sua moda. (...). Oltre a Oreste, per questa Elektra non si è voluto invece dare nessun riferimento storico, né alla Grecia arcaica né ai tempi di Hofmannsthal e Strauss. Essere dunque atemporali, senza forme precise ma con immagini forti.
Giovanna Buzzi (Intervista di Marco Del Corona)
«Corriere della Sera»
26 maggio 1994
Premiata macelleria Clitennestra
Alla Scala, con Ronconi e Sinopoli: «Signora mia, lei non sarà al corrente ma qui ci troviamo nella Premiata Macelleria Clitennestra, siamo come nella Turandot [di Puccini, ndr] dove ogni giorno si strozza, si sgozza, si uncina e scapitozza! La tragedia greca è fatta così […]!»
Alberto Arbasino
«La Repubblica»
3 giugno 2000
In Elektra […] l’odore di sangue è nell’aria; ma è un fatto che in quest’opera di Strauss registi e scenografi amano troppo incrudelire sulle emozioni […]; alla Scala le scene di Gae Aulenti partono da un ambiente neutro di geometrico squallore, con minacciosi e incombenti parallelepipedi; ma la suggestione così costruita si svia quando il quadro si trasforma in una brutta macelleria, con carcasse di bue e strani animali sfuggiti a un sinistro presepio. Crisotemide irrompe in scena esibendo due mammelle come quelle di Cibele […] celebrazione della fecondità materna […], ma poi anche Clitennestra si presenta con un petto ugualmente restio ai freni del reggiseno. Soprattutto si perde il carattere di Crisotemide come mediocrità opposta alla furibonda volontà di Elettra […]. Certo, qualche volta Ronconi fa sentire di essere l’uomo di teatro che è: basta vedere l’entrata di Oreste, nel lampo tagliente di una luce obliqua, o l’ironia canzonatoria con cui Elettra indirizza Egisto al suo macello […].
Giorgio Pestelli
«La Stampa»
30 maggio 1994